Mito e Storia sono i termini fondamentali del grande dibattito teorico del Romanticismo. Gli artisti di fine Settecento e dei primi decenni dell’Ottocento ricorrono al Mito per interpretare un presente tumultuoso e caotico. Ad una Storia che rischia di travolgere ogni certezza, l’artista romantico oppone la geometria del Mito. Alla rilettura del mito classico si accompagna una «laicizzazione» della mitologia biblica e, contemporaneamente, una riconquista dei miti nazionali. La Natura stessa raggiunge dimensioni mitiche: «To see a World in a Grain of Sand», scriveva W. Blake in “Auguries of Innocence” restituendo cosi all’individuo, isolato e frammentato dalla storia, un senso di appartenenza e di comunione. Non si guarda al creato come a qualcosa di perfettamente conchiuso e inaccessibile, ma lo si osserva e se ne ascoltano le evoluzioni, la forza vitale ed espansiva, il ritmo. Novalis scriveva «Chi possiede il ritmo, possiede l’Universo». Non è la natura naturata che i romantici cercano, bensì la natura naturans in quanto energia creativa e forza salvifica.
La natura, quale metafora delle origini, ripristina l’integrità dell’umanità e diviene strada maestra dell’esperienza e della cultura dell’individuo che in essa proietta le proprie istanze di libertà e verità. L’antico assoluto levitico viene sostituito dall’assoluto naturale: il popolo, la patria, il linguaggio – da Herder a Michelet – costituiscono le nuove categorie di un pensiero totalizzante che ha derivato le sue premesse epistemologiche dall’esoterismo della Naturphilosophie

[Evon Baader, Beträge zur Elementarphysiologie, 1797]. L’avventura umana, sospinta in una teologia naturale – la teleologia, che con Schelling riproduce la sacralità del creato – si troverà dunque, per venire compresa, inquadrata sotto l’ambiguo, ambivalente rapporto tra mito e storia. La sintesi kantiana di soggetto e oggetto, trasferendo l’atto di conoscenza dalla referenzialità dogmatica verso la natura naturata alla percezione diretta della natura naturans, ha spostato i termini del rapporto verità/finzione dall’oggettività documentale alla soggettività espressiva. E nello spazio della soggettività che l’artista romantico ricostruisce il mondo: l’egotistico sublime di William Wordsworth riscopre il mito-natura strutturandolo in categorie psicologiche che attivano memoria e immaginazione e riempiono quella «vacancy» che i moderni avvertono come coscienza del presente. Rivisitando il mito, il poeta rivisita e ricostruisce di fatto la propria storia: il mito diviene così autorappresentazione di un soggetto che è alla ricerca delle proprie forme (Friedrich Schlegel). In questo senso è comprensibile il ricorso romantico alla figura esemplare di Prometeo, tormentato e problematico e sempre diverso a seconda che venga ri-modellato da Byron o Goethe, da Mary e Percy Shelley o da Melville. Nel Discorso sulla Mitologia (1800) Friedrich Schlegel osserva che nel mito è racchiusa l’origine stessa dell’uomo, un’origine che, ponendosi al di fuori della storia, offre all’umanità una garanzia di permanenza che la salva dalle tenebre del presente ma che si pone, rispetto alla storia, come punto di riferimento futuro.

Di qui le contraddizioni di base di un grande pensatore come Herder che concepisce la Storia come «il cammino di Dio attraverso il mondo», ma considera allo stesso tempo Dio come «un derelitto affetto dai mali del mondo». Mito e storia, termini evidentemente inconciliabili nella proposizione teoretica, risultano nella pratica gnostica prospettive parallele che gli intellettuali romantici seguono nelle loro ricerche della situazione reale. Non a caso sarà proprio questo lievito delle contraddizioni a indurre i narratori votati alla riscossa del sentimento contro la ragione a giocare sul soggetto una partita a scacchi che passa dal terrore all’orrore (E.T.A. Hoffmann, M.G. Lewis, E.A. Poe) al fine di analizzare le fasi alchemiche dell’ormai ineluttabile ma già affascinante scissione dell’io nel mondo moderno. Nella percezione romantica il tradimento della storia rivoluzionaria e post-rivoluzionaria assume le cadenze bibliche dei temi della Caduta e dell’Apocalisse; le rovine stesse divengono i simboli di una grandezza possibile ma rinnegata dalla Storia, mentre la nostalgia e la malinconia, pur sentimenti di una perdita (A.W. Schlegel), diventano anche pulsioni verso una progettualità ideale. Mito e storia risultano, in quanto prospettive di spazi esistenziali, i possibili varchi naturali di un’esperienza che avvicina il passato al presente, li confonde e li fa incrociare in questa ridda di simulacri e di verità opposte che L. Mittner ha definito, in un celebre saggio, ambivalenze romantiche. È tuttavia nella speculazione teorica che il Romanticismo supera ogni definitiva divaricazione fra Mito e Storia allorché esalta la figura dell’artista quale genio creatore la cui parola è, come quella del mito, linguaggio sacro e pensiero originario, e la cui opera è inscritta nella storia universale dell’umanità.