In accordo con l’impronta fortemente interdisciplinare della rivista, l’idea all’origine di questo numero è quella di mettere a confronto le occasioni di dialogo fra scienze e arti e, soprattutto, fra scienza e letteratura. La scienza occupa sempre più spesso le prime pagine dei giornali per ragioni che sono sempre meno connesse con aspetti strettamente tecnici o “scientifici” ma che invece coinvolgono – e spesso sconvolgono – altri ambiti, primo fra tutti quello etico e dei valori “umani”. Si ripropone qui all’attenzione critica uno degli snodi storici, qual è il periodo romantico, in cui dialogo tra le “culture” è stato più fecondo e anche più intenso. Di per sé, si tratta di un argomento assai vasto, tale da non poter certo essere esaurito in un singolo volume. Gli interventi che seguono hanno in comune una prospettiva di studio che si articola attraverso l’attenzione ai margini, ai contorni di tale questione; una spigolatura del campo d’indagine, finalizzata a gettar luce su personaggi non ancora sufficientemente studiati oppure su aspetti meno noti di grandi autori.
Il Romanticismo, e in special modo il primo periodo, rappresenta un momento molto particolare nella storia del rapporto tra scienza e letteratura. L’enfasi posta sulla ragione aveva portato l’Illuminismo a vedere nella scienza l’occasione per nuove aperture e per rafforzare il distacco dai dogmi religiosi. La celebrazione della scienza e della tecnologia condotta anche sulla base della loro qualità empirica e sulla verificabilità anche sociale delle loro asserzioni, sono strettamente collegate, nel pensiero illuminista, a una proto forma di democrazia. Diversamente, il primo Romanticismo punta a ricomprendere, a riassumere in sé l’irrazionalità in quanto componente ineliminabile dell’esistente. La scienza, quindi, diventa anche il luogo, immaginario oltre che reale, nel quale si materializza la paura di rivolgimenti politici e sociali.
Disciplina di frontiera ma al contempo anche interfaccia tra scienze e cosiddette “humanities”, la medicina rappresenta il punto di intersezione tra i due campi che trovano nel corpo umano l’arena materiale nella quale confrontarsi. Francesco Puccinotti, amico di Leopardi (Maria Conforti), si pone in quella linea di ricerca in cui si è mosso Erasmus Darwin e che ha così impresso della propria essenza modelli letterari a noi tanto noti come Frankenstein. Raffaella Simili nel discutere quel classico della paura fantascientifica, lo riconduce al contesto delle sperimentazioni sul galvanismo per identificare nell’ossessione del principio vitale un punto di contatto forte tra discorso scientifico e discorso letterario, dal quale scaturisce il mostro creato da Frankenstein è un’immagine archetipale del cambiamento che avviene a cavallo fra Sette e Ottocento e riassume le proiezioni negative che la scienza può comportare. Non a caso, il nesso epocale è anche all’origine di nuovi generi letterari che da quel momento in poi hanno conosciuto grande fortuna, come testimonia l’articolo di Rossana Gheno in cui di ripercorre l’influenza esercitata dal Romanticismo su H.P. Lovecraft. L’approccio genealogico inserisce la “teoria dell’orrore” di Lovecraft nell’ambito di un dialogo serrato che l’autore intrattiene con Frankenstein, visto come matrice generativa del nuovo ruolo della scienza nella società e cultura moderne. Nella prima metà dell’Ottocento, Edgar Allan Poe si fa gioco delle nuove connivenze che si stabiliscono fra la scienza e gli aspetti sensazionali di un giornalismo che stava diventando di massa (Carlo Martinez). Su un altro versante, attraverso l’interesse per la storia naturale, il personaggio “anomalo” di Henry David Thoreau testimonia “come nel cuore dell’Ottocento americano ‘science’ e ‘literature'” tendano “vicendevolmente l’una verso l’altra pur comunicando da sentieri progressivamente divergenti” (Gigliola Nocera). Fondatore, assieme a Thoreau, del genere letterario chiamato “nature writing”, Burroughs (Annalisa Goldoni) coniuga il rigore dello scienziato all’attenzione per la lingua e la forma proprie del letterato. L’interesse di Burroughs sta anche nella forza con la quale afferma la necessità della letteratura per l’apporto cognitivo che essa sa offrire, attraverso, ad esempio, la metafora. Non sorprende in quest’ottica che la sua predilezione cada su Whitman per la capacità di tenere assieme il piano poetico creativo con quello analitico. Talora si intravedono delle affinità intrinseche tra arti e scienza, come nel caso della musica che si struttura attorno a una logica matematica e costituisce al contempo la più astratta delle arti e quella che più direttamente si rivolge ai sensi. Esempio di tale doppia valenza è offerto dalla ricerca di un compositore novecentesco quale Aaron Copland, che sceglie di traslare sul pentagramma la poesia ermetica e “silenziosa” di Emily Dickinson (Daniela Biasini). I saggi qui raccolti vogliono rappresentare una rete di possibili linee di indagine per ulteriori ricerche, mentre testimoniano, ancora una volta, la straordinaria ricchezza della “questione” romantica, riletta, in questa occasione, attraverso la lente dei rapporti con la scienza. Una questione che non finisce di produrre nuove conoscenze, sia quando indagata nella sua storicità, sia se analizzata come una delle matrici della cultura a noi contemporanea.

Questo numero de La Questione Romantica è stato curato da Annalisa Goldoni e Carlo Martinez.