Virginia Woolf, in un saggio su Dorothy Osborne, lamentava il fatto che del Cinque-Seicento inglese, l’epoca di Shakespeare e di John Donne, non possediamo testimonianze femminili. Così «benché sappiamo che cosa Donne pensasse di Lady Bedford, non abbiamo il minimo indizio su che cosa Lady Bedford pensasse di Donne». Aspetti significativi di questi grandi autori ci rimarranno per sempre ignoti, perchè una donna può scorgere in un uomo tratti che lui stesso o i suoi amici non scorgono. Ma c’è di più: la conoscenza di tutta la realtà del periodo risulta impoverita. II mondo certamente è uno, ma è abitato da due sessi, diversi non solo per la biologia, ma anche per le esperienze. Avere a disposizione solo testi scritti da uomini, rende – non solo le donne, ma anche gli uomini – come ciechi di un occhio.
I grandi scrittori questo lo hanno sempre saputo, e hanno fatto uso (spesso di nascosto) del pensiero e delle parole delle donne. Già nel Medioevo possiamo pensare a Meister Eckhart – il grande maestro dei filosofi tedeschi: di Lutero, di Hegel, di Heidegger… – di cui si scopre che si ispirava alla tradizione della mistica femminile, a Hadewijch di Anversa, a Margherita Porete.
Nell’epoca del Romanticismo questa necessità di sguardo e pensiero femminile (per la prima volta?) diventa visibile. Gli scrittori chiedono esplicitamente alle donne che frequentano una collaborazione letteraria: William Wordsworth usa i diari della sorella Dorothy per le sue poesie, Friedrich Schlegel si fa correggere i suoi saggi dalla cognata Caroline e la assilla perchè scriva dei romanzi, Goethe raccoglie nel Divan alcune poesie dell’amata Marianne von Willemer e sottolinea le espressioni più interessanti delle lettere passionali che Bettina Brentano gli invia…. Richiesta di parola e pensiero che certamente muove da quella caratteristica della cultura fine Settecento nota come «femminilizzazione», visibile nel dominio indiscusso della grande metafora della Natura come donna e madre. Ma nelle collaborazioni intellettuali concrete avviene anche un cambiamento e una demitizzazione. È come se gli uomini si rendessero conto che lo sguardo di una donna sul mondo, per uno scrittore, è indispensabile proprio nella sua differenza. Più materialmente – e Goethe e Schiller, cercando per le loro riviste collaboratrici come Caroline von Wolzogen o Amalie von Imhoff, se ne rendono perfettamente conto – c’è poi la necessità dell’editoria di adeguarsi al fatto che sono soprattutto le donne a leggere, ed è più facile che si interessino a testi scritti da donne.
Ma come funzionano queste collaborazioni intellettuali? Quali sono le aspettative maschili nei confronti delle donne? Cercano muse, oracoli da ascoltare, umili esecutrici, o grandi letterate? Riescono a vedere i legami significativi tra donne, o idealizzano l’Unica?
E le donne come rispondono? Collaborano nell’anonimato – come la traduttrice del Werther Antonietta Fagnani Arese, di cui si serve Foscolo per il suo Jacopo Ortis – si ergono a giudici severe delle opere maschili, o assolvono la funzione di «specchio del genio»? Scrivono loro stesse delle «opere» – come Charlotte von Stein che oppone una sua Didone all’Ifigenia goethiana, – o «solo» lettere – come l’amata sorella di Stendhal, Pauline – e perché?
Queste domande possono forse contribuire a rendere più significative le differenze nazionali tra i diversi movimenti romantici. In Inghilterra Dorothy Wordsworth e Sara Hutchinson collaborano con dei poeti della statura di Wordsworth e di Coleridge. Qui esiste anche un’autonoma tradizione di scrittura femminile, e Mary Shelley osa scrivere romanzi. In Germania invece le donne inserite nei gruppi romantici – salvo poche eccezioni, come l’infelice poetessa Caroline von Günderode – possono collaborare, come Caroline Schlegel, con dei critici letterari, ma si rifiutano di produrre delle «opere».
Ad alcuni di questi interrogativi ha cercato di rispondere una giornata di studio curata da Maria Luisa Wandruszka, Gli uomini interrogano le donne. E le donne…? Rapporti intellettuali nell’epoca romantica, organizzata nell’ambito dell’attività culturale del Centro Interdisciplinare di Studi Romantici dell’Università di Bologna (16 giugno 1997): da questa giornata hanno preso le mosse i contributi qui raccolti.