Il 2007 è stato celebrato in Inghilterra e nel mondo come il bicentenario dell’abolizione del commercio degli schiavi, attività che dalla metà del Cinquecento fino all’inizio dell’Ottocento vide come protagoniste in primo piano le navi europee che dall’africa centrale prelevavano e trasportavano forzatamente nel continente americano una medi di 60.000 schiavi all’anno. Si calcola infatti che nel corso di questi secoli circa 12 milioni di africani furono imbarcati e destinati al mercato degli schiavi americani. Per ricordare l’atto parlamentare inglese che il 25 marzo 1807 dichiarò l’illegalità di tale pratica, con ovvie ed importanti conseguenze sul piano economico, politico e sociale non solo in Gran Bretagna ma in tutto il mondo, si sono organizzate ne corso dell’anno varie iniziative culturali, convegni, mostre, spettacoli teatrali e produzioni cinematografiche, dedicate al tema del colonialismo e in particolare del abolizionismo. I riflettori si sono così accesi sulla produzione letteraria e artistica del periodo di massima espansione coloniale europea. Il dibattito prende origine dagli eventi storici che coinvolsero le maggiori potenze europee negli ultimi decenni del Settecento fino a tutto il secolo successivo. Per l’Inghilterra furono fondamentali gli anni della rivoluzione americana, che prese avvio con il “Tea Party” di Boston, nel 1773, dove venne gettato in mare un carico di tè destinato alla madre patria inglese, fino al trattato che a Versailles sancì l’indipendenza delle colonie inglesi d’America nel 1783. Di conseguenza, durante i primi decenni dell’Ottocento, l’attività coloniale inglese si concentrò sull’espansione coloniale del continente indiano, in Australia e in Nuova Zelanda, nel sud-est asiatico, in Africa e nelle Indie occidentali. La Francia, a sua volta, dopo aver ceduto all’Inghilterra i territori canadesi e ogni ambizione di controllo economico sull’India a seguito della guerra dei sette anni (1756-1763) e a fronte della clamorosa rivolta degli schiavi nel possedimento di Haiti nel 1791, abbandonò ogni pretesa coloniale americana dopo il 1803 e rivolse le sue mire espansionistiche verso l’Africa. D’altro canto, l’impero portoghese, che vide la sua massima fioritura nel XV secolo grazie alle prime scoperte geografiche extra-europee, declinò progressivamente nell’Ottocento, tanto più quando il Brasile si dichiarò stato indipendente nel 1822, e dunque, similmente alla Francia , anch’esso diresse la sua flotta verso la conquista del continente africano. Sulla scia delle grandi potenze coloniali, nel tardo Ottocento, si lanciarono in una politica espansionistica anche altri stati europei, come, per esempio, il Belgio. Nazione “giovane”, resasi autonoma a seguito della rivoluzione del 1830, ottenne il controllo politico ed economico, sotto la guida del re Leopoldo II, dello stato del Congo grazie all’approvazione ufficiale del Congresso di Berlino nel 1885.

Per quanto riguarda il tema più specifico della schiavitù, l’Ottocento fu certamente il secolo centrale per l’animato dibattito politico, letterario e sociale che ospitò: nel 1807 il parlamento inglese approvò l’ “Abolition of the Slave Trade Act” e la schiavitù venne proibita come pratica generale nell’impero Britannico dal 1 agosto del 1833. Nelle colonie francesi la schiavitù venne abrogata nel 1794, per poi essere reintrodotta da Napoleone nel 1802 e revocata definitivamente nel 1848. Infine negli Stati Uniti l’abolizione del traffico degli schiavi entrò in vigore il 1 gennaio 1808 e successivamente, in Brasile nel 1836.

In questo arco temporale, l’Inghilterra fu certamente tra le potenze coloniali europee quella maggiormente impegnata in una politica di contenimento e di contrasto nei confronti non solo dei paesi colonizzati, ma anche delle altre nazioni d’Europa altrettanto motivate da una politica espansionistica. Alla fine dell’Ottocento la Gran Bretagna vanterà il più vasto impero della storia mondiale, con una popolazione di oltre 400 milioni di persone distribuite su tutti i continenti. Le motivazioni e le conseguenze economiche e politiche che accompagnarono il fenomeno coloniale di questo periodo ebbero una portata tale da influenzare complessivamente tanto le abitudini sociali delle nazioni colonizzate quanto quelle delle nazioni colonizzatrici.

Oggi emerge in tutta la sua ampiezza l’acceso dibattito che, nelle varie sedi editoriali sia europee che extra-europee, coinvolse generazioni di intellettuali del periodo romantico sui temi dell’imperialismo e sulla diffusione delle politiche espansionistiche. Il fenomeno coloniale ebbe ricadute e influenze importanti, e soprattutto irreversibili, al punto che l’ideologia imperialista rimarrà ben salda e teorizzata anche dopo la fine delle singole dominazioni territoriali, innescando a catena altri importanti fenomeni di dipendenza politica, economica e culturale nei secoli successivi la conquista. Il processo di de-colonizzazione e la lotta anti-imperialista restano infatti, tutt’oggi al centro del dibattito post-coloniale poiché impressi in maniera indelebile nella memoria collettiva.

La letteratura prodotta tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento riflette una società e una cultura profondamente pervase dall’ideologia coloniale: la scrittura letteraria si rivela quindi uno strumento indispensabile per mettere a fuoco e interpretare il pensiero epocale. Numerosi studi critici negli ultimi decenni si sono avvicinati con una lente post-coloniale non solo alle opere considerate da sempre specchi esemplari dell’imperialismo (quali Robinson Crusoe di Defoe Gulliver’s Travels di Swift Heart of Darkness di Conrad), ma anche produzioni meno note che trattano della figura del diverso e dello schiavo(come romanzi, poesie e drammi teatrali pubblicati da scrittori e scrittrici inglesi, francesi, belgi o portoghesi e considerati tradizionalmente minori). Inoltre opere valutate da sempre come conformi alle norme del canone letterario ottocentesco si sono rivelate, ad un’attenta lettura, in conflitto con l’ideologia coloniale contemporanea (com’è il casodelle opere di Jane Austen oppure di Rudyard Kipling). Infine, produzioni di autori nativi dei paese occupati o da essi provenienti sono oggetto di un accurato studio secondo un’ottica post-coloniale perché rivelano conflitti di identità privata e pubblica causati da un presupposto imperialista, come ad esempio negli autori irlandesi dell’Ottocento oppure quelli provenienti dal Congo Belga.

L’ampio corpus della critica che oggi si definisce post-coloniale ha tra i suoi studi fondamentale quelli di Edward Said, con le controverse interpretazioni del romanzo inglese dell’Ottocento. Orientalism del 1978 e Culture and Imperialism del 1993 sono diventati un punto di partenza nel campo degli studi sulla letteratura coloniale europea, e hanno dato origine a nuove e spesso contrastanti teorie. Nel leggere e interpretare le opere di tema coloniale pubblicate nell’ottocento, Said le ha etichettate globalmente, seguendo un’ottica univoca, come sostenitrici dell’ideologia imperialista in quanto prodotte durante quel determinato periodo storico. Tale lettura ha dato adito ad un ampio dibattito incentrato sull’interpretazione dei testi del periodo coloniale anche da prospettive diverse. Gli studiosi del romanticismo hanno infatti sottolineato l’importanza del fattore storico, sostenendo che non si possano totalmente ignorare, come avrebbe fatto Said, il contesto sociale e politico nel quale si situa la pubblicazione di argomento coloniale, le finalità, e tanto meno il gender dell’autore e il pubblico al quale viene rivolta l’opera. Di conseguenza,un approccio critico storicista e neo-storicista può essere utile nello sviluppare ulteriormente l’indagine iniziata da Said e dai suoi contemporanei, prendendo in considerazione le relazioni storiche ed estetiche degli scritti letterari del periodo, non solo riguardanti l’Oriente, ma anche altre aree geografiche colonizzate, e non unicamente dall’Inghilterra ma anche dalle altre potenze europee. Homi K. Bhabha è stato uno dei più autorevoli studiosi ad andare oltre l’approccio di Said,mettendo in evidenza l’importanza dell’ambivalenza e dell’incertezza che si manifestano all’interno del discorso coloniale quando esso viene <> dalla propria origine imperialista e riprodotto –mimicked, per usare il termine dello stesso Bhabha – dal soggetto colonizzato. Nella sua complessità, la nozione di hybridity usata da Bhabha postula che i soggetti coloniali includano e conservino inevitabilmente la traccia del represso e che quindi non li si possa definire o classificare in maniera definitiva.

Le distinzioni   terminologiche diventano rilevanti quando ci si avvicina alla letteratura romantica, come viene messo in rilievo da Tim Fulford e Peter J. Kitson nel loro studio su Romanticism and Colonialism; Writing and Empire, 1780-1830 (1998). Seguendo una prospettiva marxista (in parte già formulata in P. Williams, L Chrisman, eds, Colonial Discorse in Post-Colonial Theory: A Reader, 1994) il colonialismo è definito come un’asserzione di conquista e di controllo diretta a territori appartenenti ad altre comunità; si tratterebbe  di una particolare fase storica di un fenomeno invece ben più ampio quale quello dell’imperialismo, definito come la globalizzazione della modalità capitalista della produzione. Nell’introduzione Fulford e Kitson sottolineano la distinzione tra colonialismo, inteso come un sistema di conquista e controllo materiale, e imperialismo, considerato invece una forma di colonialismo rinforzato dall’egemonia culturale e  dagli imperativi ideologici. Il fenomeno del colonialismo appare dunque come un evento storico del passato, al contrario di quello imperialista che invece si protrae fino ai giorni nostri, in forma di ambizione globale del capitalismo occidentale che continua ad esercitare un monopolio ideologico e culturale. La letteratura prodotta tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento ebbe un ruolo fondamentale nel dare forma estetica al discorso imperialista, promovendo o contrastando il progetto coloniale, divulgandone gli stereotipi o diffondendone le resistenze. Non si può ignorare, per esempio i, il ruolo che molte pubblicazioni del periodo ebbero nel propagandare il concetto di supremazia culturale inglese su altre nazioni: si consideri l’esaltazione della nazione e il ruolo centrale dell’io poetico come <> rappresentativo dell’intera nazione nella poesia di William Wordsworth, di Samuel Taylor Coleridge, di Anna Laetitita Barbauld o di Felicia Hemans come discorso politico e culturale universale. Tuttavia, la produzione letteraria romantica non può essere interpretata in maniera univoca come essenzialmente a sostegno della dominazione imperialista e coloniale ,in quanto questi stessi autori hanno saputo dar voce all’impegno sociale, quando non addirittura abolizionista, nelle loro opere. Esiste, inoltre, una vasta produzione letteraria che manifesta una vivace <>all’ideologia e cultura imperialista. Basti pensare, per esempio, all’ampia e articolata produzione abolizionista di scrittori e scrittrici provenienti da classi sociali diverse, con credenze religiose varie e contrastanti, con idee politiche antagoniste che però animò il dibattito antischiavista e anticolonialista in tutta Europa all’inizio dell’Ottocento. Non stupirà dunque se, ad un’attenta lettura, i testi romantici rivelano una forte instabilità e una diffusa ambiguità. Si tratta di contraddizioni generate da un’epoca storica nella quale l’intellettuale è alla costante ricerca di un’identità propria e al contempo si mette inevitabilmente in ascolto delle voci collettive che provengono dalle svariate comunità sociali che le generano. Gli studi etnografici e i dibattiti razziali degli ultimi anni hanno mostrato come non si possa adeguatamente discutere di Romanticismo senza tenere nel debito conto le sue varie e diverse implicazioni e, soprattutto le sue forti resistenze al discorso coloniale e colonialista in nazioni quali Gran Bretagna, Francia, Belgio e Portogallo sempre più imperialiste nella loro politica espansionista extra-europea con l’avanzare del diciannovesimo secolo.

Questo numero de La Questione Romantica è stato curato da Serena Baiesi.